L'arbitro Alessio Vallerga racconta così la partita Under 15 arbitrata dal collega Pasquale Ciocci sabato a Civitavecchia dove in campo giocava il figlio, capitano della squadra di casa:
Il bello di questo sport è che possono capitare situazioni all’apparenza assurde. Come quando, in un sabato di inizio marzo, l’arbitro entrando nei spogliatoi chieda: “Capitano, siamo pronti per il riconoscimento?” e con sguardo fiero – perché i genitori, per queste cose, si emozionano – porga il faldone dei documenti al figlio per la “chiama”.
Questo è quanto successo a Civitavecchia: l’arbitro in campo con il figlio capitano. Tuttavia nel mondo di Ovalia, è una situazione normale e a nessuno è venuto in mente di eccepire alcunché.
Nonostante ciò, qualcuno potrebbe controbattere: “Si trattava solo di una partita di under 15 !”. No. Una partita di rugby è una partita di rugby, dove non conta l’età né la posta in palio. Padre e figlio in campo, con quest’ultimo nelle vesti di capitano, sono dettagli e niente più.
A questo punto, verrebbe da chiedersi perché sono dettagli: semplice, perché chi pratica questo sport crede nel rispetto. Rispetto degli avversari, rispetto verso i compagni, rispetto verso l’arbitro e dell’arbitro verso i giocatori. In buona sostanza, c’è rispetto dei ruoli.
Quando si scende in campo ognuno pensa a dare il meglio di sé per giocare, magari vincere, con gli avversari e con l’arbitro, tutti insieme. Poco conta se davanti c’è il nostro migliore amico, un fratello o se l’arbitro è nostro padre. L’obiettivo è giocare, dando il 100%.
Anche per questo il rugby è uno sport meraviglioso !